«Sono state le donne le protagoniste del mio viaggio ad Haiti con la Fondazione Francesca Rava-Nph Italia Onlus. La mia settima volta nello Stato caraibico, il più povero delle Americhe, dove la gente s’illudeva che la disperazione avesse toccato il fondo finché, il 12 gennaio 2010, è arrivato il terremoto: 230 mila morti, 300 mila feriti, un milione di sfollati…». A scrivere il reportage di “Io donna”, in edicola sabato 11 gennaio, nei giorni del terzo anniversario della tragedia, è una giornalista d’eccezione: Martina Colombari, volontaria in una missione umanitaria della Fondazione Rava nell’isola devastata dal sisma, dove il 70 per cento della popolazione non ha un lavoro e, negli slum, un bambino su tre muore prima di aver raggiunto i cinque anni.
«Grazie anche al nostro aiuto dall’Italia, qui sono stati costruiti tre ospedali, fra cui il polo d’eccellenza Saint Damien, tre orfanotrofi, due centri per bambini disabili, 28 scuole di strada negli slum. E la “città dei mestieri” Francisville, dove i ragazzi usciti dagli orfanotrofi, ormai grandi, lavorano alla produzione dei mattoni, alla stamperia, alla panetteria, all’officina meccanica, alla sartoria… Questo viaggio è stato il più scioccante per me», confessa Martina.
«Mio figlio Achille sta studiando a scuola le prime città fluviali, quelle che elaboravano il concetto di società, con scambi fra pescatori e agricoltori e la scelta di regole per la convivenza civile. Ecco, Haiti sembra dover ripartire da questo punto, da zero». «Hanno un carattere coriaceo, le haitiane. Diffidenti, sempre in allerta, perché in troppi hanno promesso di migliorare le loro esistenza e poi di sono dileguati. Sanno di vivere in condizioni disumane e lo accettano con dolore, solo perché non hanno scampo. A dar loro coraggio sono i figli».